KUTIYATTAM - IL TEATRO TRA LA GRECIA E L'INDIA

Teatro Grecia India Marialuisa Sales L’ARTE DEL TEATRO TRA LA GRECIA E L’INDIA di Marialuisa Sales Con questa articolo inauguriamo una serie di scritti dedicati ad un tópos che ci è sempre stato particolarmente caro: l’affinità di intenti e metodi tra la sacra arte del teatro-danza indiano e il dramma greco. La comunità scientifica è tendenzialmente concorde sulla circostanza che molto di ciò che sappiamo del teatro greco antico è incerto e oggetto di speculazione, poiché in realtà è sopravvissuta una relativamente esigua letteratura dell’epoca e - soprattutto - neanche un’opera equivalente a ciò che, in contesto indiano, viene chiamato attaprakaram, ovvero un “manuale” che descriva in modo compiuto e minuzioso i movimenti degli attori e tutto ciò che necessita per rappresentare in versi e prosa quanto descritto nel dramma. In questa serie di scritti esploreremo quindi la corrente di pensiero che sostiene che è solo analizzando la relazione tra il dramma antico indiano e il dramma greco antico è possibile ottenere una visione più completa di come il secondo potrebbe essere stato effettivamente eseguito, stante la storica relazione tra i due, di cui sono rimaste a testimonianza anche alcune memorie linguistiche (come il ben noto yavanikā) che analizzeremo nel testo.  Blog con testi di proprietà intellettuale dell’Associazione Culturale Orchestés - Marialuisa Sales©. Tutti i Diritti Riservati. E' permessa la condivisione sui social. E' vietata l'importazione parziale o totale dei testi su altri siti o pubblicazioni cartacee.  Dal 2022 l'articolo è disponibile nella versione integrale (con note) sul sito della Fondazione Lanzi in questo link: https://www.simmetriainstitute.com/it/arte-e-mousike/1219-kutiyattam-l-arte-del-teatro-tra-la-grecia-e-l-india-di-m-sales.html  IL TEATRO GRECO IN INDIA - INTRODUZIONE Tra il 180 e il 30 a.C, il regno greco della Battriana, fondato da Alessandro Magno, si sviluppò nell'India settentrionale, gradualmente trasformandosi in ciò che viene comunemente definito Regno indo-greco. L’ipotesi della diffusione del teatro greco in India sostiene che nessuna póleis sarebbe stata completa senza uno spazio dedicato al teatro e che è dunque molto probabile che il dramma greco sia stato rappresentato nel nord dell'India durante questi anni. Tale ipotesi è supportata non solo da alcune memorie linguistiche, ma anche da una serie di indizi di natura letteraria ed archeologica quali, ad esempio, la scoperta di un frammento vascolare rinvenuto nell’area del regno della Battriana che si ritiene raffiguri una scena dall'Antigone di Sofocle. Ad ogni modo, nonostante i numerosi studi, non ci sono ancora evidenze dirette che il teatro greco sia stato regolarmente rappresentato nel Subcontinente ma - avendo di contro evidenze che testimoniano rappresentazioni in Armenia e in Spagna - è dunque ipotizzabile che il teatro greco sia giunto anche in India. In conclusione, poiché ci è noto che i greci battriani adottarono molti aspetti della cultura indiana, è ipotizzabile che lo scambio culturale possa aver incluso anche pratiche teatrali:  “L’ipotesi dell’influsso greco fu formulata fin dalle prime stampe occidentali della Śakuntalā di Kālidāsa: Weber nel 1851, poi Windisch nel Congresso degli Orientalisti tenutosi a Berlino nel 1881, poi altri studiosi avevano osservato alcune coincidenze tra dramma indiano e la commedia nuova; l’ipotesi poi trovò sempre meno consenso tra gli studiosi. Se si potesse in qualche modo avvalorare la tesi di Lévi, secondo cui la forma definitiva del dramma indiano sarebbe stata fissata a Mathurā nel I sec. a.C., l’ipotesi di un influsso greco sulla nascita del teatro indiano farebbe un grosso balzo in avanti. Purtroppo questa ipotesi, benché affascinante, ha poche probabilità di essere provata in modo definitivo, e così il problema del possibile rapporto greco continua ad essere, per chi si pone nella prospettiva dell’India, nient’altro che una questione irritante" (M. Morani, I Greci in India)  Yavanikā Alcuni aspetti del dramma sanscrito che si ipotizzava provenissero dai greci sono la forma in cinque atti di un dramma e l'uso della tenda-sipario come dispositivo scenico. In particolare l’indizio principale che l'uso di questa cortina sia una conseguenza dello scambio con il teatro greco risiede nella circostanza che il termine sanscrito per sipario, yavanikā, è comunemente tradotto come "qualcosa di greco", sebbene la traduzione di "qualcosa" sia dibattuta. La tenda-sipario yavanikā è ancora oggi utilizzata come dispositivo teatrale in un modo analogo a come veniva usato nei mimi greci la skenè (σκηνή), dunque una costruzione mobile che solo gradualmente subì un processo di “solidificazione”, sino a giungere a qualcosa di analogo al nostro concetto di scena. La differenza principale è che, in contesto indiano, yavanikā conserva ancora memoria della concezione sacrale dell’atto teatrale: essa viene utilizzata a protezione della consacrazione iniziale della scena (pūrvaraṅga) e dell’esecuzione, momento primevo non visibile allo spettatore profano.  Esistono inoltre analogie tra il sūtradhāri e il sūtradhāri indiani e l' archĭmīmus e l’archĭmīma greci. La prova dell'influenza reciproca rispetto a un ruolo ricevente del teatro sanscrito è che le donne, escluse da tutte le altre forme di dramma greco, e che si esibivano in India ben prima di qualsiasi interazione con i greci, potevano esibirsi nel mimo greco:  “Sta di fatto che sia la nea sia il dramma indiano hanno una consonanza singolare nella formulazione degli intrecci: le vicende amorose di una coppia, che per una qualunque motivo si separa, le peripezie che portano allo scioglimento dell’azione e al ritrovarsi dei due amanti, e soprattutto, spesso il riconoscimento dell’identità dell’altro per mezzo di un oggetto che era stato smarrito. Anche la presenza di personaggi fissi che presentano caratteristiche somiglianti (p.es. lo schiavo della commedia greco-romana e il vidūṣaka, un brahmano compagno di sollazzi, e soprattutto di pranzi, del protagonista) è un’altra coincidenza importante” (M. Morani, I Greci in India)  Charition (Χαριτίων) Relativamente ad un momento storico di molto posteriore, Richard Stoneman - in una valutazione profondamente dotta - ha evidenziato come un raro testo drammatico greco titolato Charition (Χαριτίων), frammento del Papiro di Ossirinco del II secolo d.C. (POxy 413),  includa numerose citazioni in una lingua dravidica dell’India meridionale (molto probabilmente Tulu Bāse). Charition, la protagonista, è una giovane greca tenuta prigioniera in un tempio in India e suo fratello accorre a liberarla. I greci fuggono facendo ubriacare il re indiano, elemento forse preso in prestito dall'Odissea. Testo poco noto, se non in ambito specialistico, esso meriterebbe indubbiamente un’attenzione maggiore alla luce degli scambi culturali tra il Mediterraneo e l’India, con particolare riferimento all’arte teatrale.  Kūṭiyāṭṭaṁ Il Kūṭiyāṭṭaṁ (“un atto combinato”) del Kerala è considerata la più antica forma di teatro indiano e conserva molti aspetti della performance dell'antico dramma sanscrito e, potenzialmente, anche del dramma greco. Poco studiate in quest’ottica, ma sicuramente interessanti, sono alcune analogie  contestuali ed esecutive: entrambi i tipi di performance si svolgono nei templi; entrambi includono una commistione di danza, teatro e musica (indiano nritha, nataka e gana e greco mousikē); entrambi utilizzano gli stessi tipi di strumenti (vento, piatti, batteria) e nessuno dei due utilizza scenari realistici, ma piuttosto utilizza rappresentazioni simboliche:  “Il teatro-danza Kūṭiyāṭṭaṁ e Kathakali condividono elementi musicali chiave con il dramma greco. Entrambe le tradizioni drammatiche impiegano canzoni e musica strumentale per aumentare l'effetto del dramma; la musica e il metro erano usati in entrambi per trasmettere umore, carattere, genere, classe ed etnia; intervalli, note e modi erano adatti alla parola e all'azione; melodie e ritmo sono stati composti in modi mimetici per adattarsi ai singoli personaggi e il pubblico si aspettava assoli elettrizzanti e musica complessa (Murray & Wilson 2004; Rowell 1992) (...) Metto a confronto il concetto di rasa con il greco di mousikē come descrizione di un'esperienza estetica collettiva di musica, arte, poesia e danza, connessa al pensiero religioso e uguale a "Cultura" nel suo senso più ampio, in quanto l'intera comunità è coinvolta nella produzione e nell’accoglienza. Suggerisco che la spiegazione di Bhārata del rasā possa plasmare la nostra comprensione dell'affermazione di Aristotele che mousikē conduce l'umanità verso aretē, ēthos e il vero hēdonē (Pol. 1339a11-1340b19).” (N. Sultan, “What Sanskrit Drama Might Teach Us about Music and Audience Reception of Later Greek Drama)  Dunque la comprensione delle interpretazioni degli attori greci può forse essere trovata attraverso lo studio del teatro-danza Kūṭiyāṭṭaṁ: è noto che la pronuncia corretta e chiara era molto apprezzata nel dramma greco, analogamente a quanto avviene nel Kūṭiyāṭṭaṁ, in cui la dizione lenta è accompagnata dalla gestualità codificata delle mudrā. E’ ben noto che anche il dramma greco utilizzava una gestualità teatrale nota come cheironomia (χερονομία) di cui viene data chiara definizione nell'Onomastikon di Polluce (2, 153):  χειρονομῆσαι δὲ τὸ ταῖν χεροῖν ἐν ῥυϑμῷ κινηϑῆναι (gesticolare ritmicamente).  Ogni parola era associata a un gesto della mano diverso in entrambe le forme di dramma e, poiché ogni parola doveva essere accompagnata dal suo gesto, l'esecuzione di un dramma greco non era certamente rapida, analogamente al Kūṭiyāṭṭaṁ. È inoltre proprio l’analisi delle figura dell’ archĭmīma Bassilla (III sec. d.C.) a rivelarci indubbie analogie con le antiche ed attuali esecutrici del teatro-danza indiano:  virtuosa della danza e dell’arte del mimo, era nota come “la Decima Musa” e descritta come un'artista teatrale versata nei ruoli parlanti, nella pantomima e come ballerina e cantante di coro. È comunque indubbio che sia storicamente avvenuto uno sviluppo autonomo e indipendente del dramma sanscrito, poiché i drammi indiani includono cambiamenti di tempo e ambientazione tra gli atti, mentre i drammi greci non hanno questa peculiarità. Tuttavia, la scoperta di un'opera teatrale di un ebreo alessandrino, in cui sia il tempo che l'impostazione cambiano tra gli atti, confuta questo argomento. Potremmo forse concluderne che la relazione tra il dramma sanscrito e il mimo greco implicava con ogni probabilità un dare e un ricevere da entrambe le parti.  “Pertanto, nonostante le differenze cronologiche, testuali e culturali che rendono problematico trarre conclusioni sulle pratiche greche da uno studio del dramma sanscrito, lo studio comparativo interculturale delle tradizioni viventi del Kathakali e del Kūṭiyāṭṭaṁ, insieme all'evidenza testuale, può fornire una certa chiarezza su come gli aspetti musicali del dramma funzionassero nella pratica e informano ed espandono la nostra comprensione della ricezione del pubblico delle successive opere greche.” (N. Sultan, “What Sanskrit Drama Might Teach Us about Music and Audience Reception of Later Greek Drama)

L’ARTE DEL TEATRO TRA LA GRECIA E L’INDIA
di Marialuisa Sales
Con questa articolo inauguriamo una serie di scritti dedicati ad un tópos che ci è sempre stato particolarmente caro: l’affinità di intenti e metodi tra la sacra arte del teatro-danza indiano e il dramma greco.
La comunità scientifica è tendenzialmente concorde sulla circostanza che molto di ciò che sappiamo del teatro greco antico è incerto e oggetto di speculazione, poiché in realtà è sopravvissuta una relativamente esigua letteratura dell’epoca e - soprattutto - neanche un’opera equivalente a ciò che, in contesto indiano, viene chiamato attaprakaram, ovvero un “manuale” che descriva in modo compiuto e minuzioso i movimenti degli attori e tutto ciò che necessita per rappresentare in versi e prosa quanto descritto nel dramma. In questa serie di scritti esploreremo quindi la corrente di pensiero che sostiene che è solo analizzando la relazione tra il dramma antico indiano e il dramma greco antico è possibile ottenere una visione più completa di come il secondo potrebbe essere stato effettivamente eseguito, stante la storica relazione tra i due, di cui sono rimaste a testimonianza anche alcune memorie linguistiche (come il ben noto yavanikā) che analizzeremo nel testo.

Blog con testi di proprietà intellettuale dell’Associazione Culturale Orchestés - Marialuisa Sales©. Tutti i Diritti Riservati. E' permessa la condivisione sui social. E' vietata l'importazione parziale o totale dei testi su altri siti o pubblicazioni cartacee.

Dal 2022 l'articolo è disponibile nella versione integrale (con note) sul sito della Fondazione Lanzi in questo link:

IL TEATRO GRECO IN INDIA - INTRODUZIONE
Tra il 180 e il 30 a.C, il regno greco della Battriana, fondato da Alessandro Magno, si sviluppò nell'India settentrionale, gradualmente trasformandosi in ciò che viene comunemente definito Regno indo-greco. L’ipotesi della diffusione del teatro greco in India sostiene che nessuna póleis sarebbe stata completa senza uno spazio dedicato al teatro e che è dunque molto probabile che il dramma greco sia stato rappresentato nel nord dell'India durante questi anni. Tale ipotesi è supportata non solo da alcune memorie linguistiche, ma anche da una serie di indizi di natura letteraria ed archeologica quali, ad esempio, la scoperta di un frammento vascolare rinvenuto nell’area del regno della Battriana che si ritiene raffiguri una scena dall'Antigone di Sofocle.
Ad ogni modo, nonostante i numerosi studi, non ci sono ancora evidenze dirette che il teatro greco sia stato regolarmente rappresentato nel Subcontinente ma - avendo di contro evidenze che testimoniano rappresentazioni in Armenia e in Spagna - è dunque ipotizzabile che il teatro greco sia giunto anche in India. In conclusione, poiché ci è noto che i greci battriani adottarono molti aspetti della cultura indiana, è ipotizzabile che lo scambio culturale possa aver incluso anche pratiche teatrali:

“L’ipotesi dell’influsso greco fu formulata fin dalle prime stampe occidentali della Śakuntalā di Kālidāsa: Weber nel 1851, poi Windisch nel Congresso degli Orientalisti tenutosi a Berlino nel 1881, poi altri studiosi avevano osservato alcune coincidenze tra dramma indiano e la commedia nuova; l’ipotesi poi trovò sempre meno consenso tra gli studiosi. Se si potesse in qualche modo avvalorare la tesi di Lévi, secondo cui la forma definitiva del dramma indiano sarebbe stata fissata a Mathurā nel I sec. a.C., l’ipotesi di un influsso greco sulla nascita del teatro indiano farebbe un grosso balzo in avanti. Purtroppo questa ipotesi, benché affascinante, ha poche probabilità di essere provata in modo definitivo, e così il problema del possibile rapporto greco continua ad essere, per chi si pone nella prospettiva dell’India, nient’altro che una questione irritante"
(M. Morani, I Greci in India)

Yavanikā
Alcuni aspetti del dramma sanscrito che si ipotizzava provenissero dai greci sono la forma in cinque atti di un dramma e l'uso della tenda-sipario come dispositivo scenico. In particolare l’indizio principale che l'uso di questa cortina sia una conseguenza dello scambio con il teatro greco risiede nella circostanza che il termine sanscrito per sipario, yavanikā, è comunemente tradotto come "qualcosa di greco", sebbene la traduzione di "qualcosa" sia dibattuta. La tenda-sipario yavanikā è ancora oggi utilizzata come dispositivo teatrale in un modo analogo a come veniva usato nei mimi greci la skenè (σκηνή), dunque una costruzione mobile che solo gradualmente subì un processo di “solidificazione”, sino a giungere a qualcosa di analogo al nostro concetto di scena. La differenza principale è che, in contesto indiano, yavanikā conserva ancora memoria della concezione sacrale dell’atto teatrale: essa viene utilizzata a protezione della consacrazione iniziale della scena (pūrvaraṅga) e dell’esecuzione, momento primevo non visibile allo spettatore profano.  Esistono inoltre analogie tra il sūtradhāri e il sūtradhāri indiani e l' archĭmīmus e l’archĭmīma greci. La prova dell'influenza reciproca rispetto a un ruolo ricevente del teatro sanscrito è che le donne, escluse da tutte le altre forme di dramma greco, e che si esibivano in India ben prima di qualsiasi interazione con i greci, potevano esibirsi nel mimo greco:

“Sta di fatto che sia la nea sia il dramma indiano hanno una consonanza singolare nella formulazione degli intrecci: le vicende amorose di una coppia, che per una qualunque motivo si separa, le peripezie che portano allo scioglimento dell’azione e al ritrovarsi dei due amanti, e soprattutto, spesso il riconoscimento dell’identità dell’altro per mezzo di un oggetto che era stato smarrito. Anche la presenza di personaggi fissi che presentano caratteristiche somiglianti (p.es. lo schiavo della commedia greco-romana e il vidūṣaka, un brahmano compagno di sollazzi, e soprattutto di pranzi, del protagonista) è un’altra coincidenza importante”
(M. Morani, I Greci in India)

Charition (Χαριτίων)
Relativamente ad un momento storico di molto posteriore, Richard Stoneman - in una valutazione profondamente dotta - ha evidenziato come un raro testo drammatico greco titolato Charition (Χαριτίων), frammento del Papiro di Ossirinco del II secolo d.C. (POxy 413),  includa numerose citazioni in una lingua dravidica dell’India meridionale (molto probabilmente Tulu Bāse). Charition, la protagonista, è una giovane greca tenuta prigioniera in un tempio in India e suo fratello accorre a liberarla. I greci fuggono facendo ubriacare il re indiano, elemento forse preso in prestito dall'Odissea. Testo poco noto, se non in ambito specialistico, esso meriterebbe indubbiamente un’attenzione maggiore alla luce degli scambi culturali tra il Mediterraneo e l’India, con particolare riferimento all’arte teatrale.

Kūṭiyāṭṭaṁ
Il Kūṭiyāṭṭaṁ (“un atto combinato”) del Kerala è considerata la più antica forma di teatro indiano e conserva molti aspetti della performance dell'antico dramma sanscrito e, potenzialmente, anche del dramma greco. Poco studiate in quest’ottica, ma sicuramente interessanti, sono alcune analogie  contestuali ed esecutive: entrambi i tipi di performance si svolgono nei templi; entrambi includono una commistione di danza, teatro e musica (indiano nritha, nataka e gana e greco mousikē); entrambi utilizzano gli stessi tipi di strumenti (vento, piatti, batteria) e nessuno dei due utilizza scenari realistici, ma piuttosto utilizza rappresentazioni simboliche:

“Il teatro-danza Kūṭiyāṭṭaṁ e Kathakali condividono elementi musicali chiave con il dramma greco. Entrambe le tradizioni drammatiche impiegano canzoni e musica strumentale per aumentare l'effetto del dramma; la musica e il metro erano usati in entrambi per trasmettere umore, carattere, genere, classe ed etnia; intervalli, note e modi erano adatti alla parola e all'azione; melodie e ritmo sono stati composti in modi mimetici per adattarsi ai singoli personaggi e il pubblico si aspettava assoli elettrizzanti e musica complessa (Murray & Wilson 2004; Rowell 1992)
(...)
Metto a confronto il concetto di rasa con il greco di mousikē come descrizione di un'esperienza estetica collettiva di musica, arte, poesia e danza, connessa al pensiero religioso e uguale a "Cultura" nel suo senso più ampio, in quanto l'intera comunità è coinvolta nella produzione e nell’accoglienza. Suggerisco che la spiegazione di Bhārata del rasā possa plasmare la nostra comprensione dell'affermazione di Aristotele che mousikē conduce l'umanità verso aretē, ēthos e il vero hēdonē (Pol. 1339a11-1340b19).”
(N. Sultan, “What Sanskrit Drama Might Teach Us about Music and Audience Reception of Later Greek Drama)

Dunque la comprensione delle interpretazioni degli attori greci può forse essere trovata attraverso lo studio del teatro-danza Kūṭiyāṭṭaṁ: è noto che la pronuncia corretta e chiara era molto apprezzata nel dramma greco, analogamente a quanto avviene nel Kūṭiyāṭṭaṁ, in cui la dizione lenta è accompagnata dalla gestualità codificata delle mudrā. E’ ben noto che anche il dramma greco utilizzava una gestualità teatrale nota come cheironomia (χερονομία) di cui viene data chiara definizione nell'Onomastikon di Polluce (2, 153):

χειρονομῆσαι δὲ τὸ ταῖν χεροῖν ἐν ῥυϑμῷ κινηϑῆναι
(gesticolare ritmicamente).

Ogni parola era associata a un gesto della mano diverso in entrambe le forme di dramma e, poiché ogni parola doveva essere accompagnata dal suo gesto, l'esecuzione di un dramma greco non era certamente rapida, analogamente al Kūṭiyāṭṭaṁ.
È inoltre proprio l’analisi delle figura dell’ archĭmīma Bassilla (III sec. d.C.) a rivelarci indubbie analogie con le antiche ed attuali esecutrici del teatro-danza indiano:  virtuosa della danza e dell’arte del mimo, era nota come “la Decima Musa” e descritta come un'artista teatrale versata nei ruoli parlanti, nella pantomima e come ballerina e cantante di coro.
È comunque indubbio che sia storicamente avvenuto uno sviluppo autonomo e indipendente del dramma sanscrito, poiché i drammi indiani includono cambiamenti di tempo e ambientazione tra gli atti, mentre i drammi greci non hanno questa peculiarità. Tuttavia, la scoperta di un'opera teatrale di un ebreo alessandrino, in cui sia il tempo che l'impostazione cambiano tra gli atti, confuta questo argomento. Potremmo forse concluderne che la relazione tra il dramma sanscrito e il mimo greco implicava con ogni probabilità un dare e un ricevere da entrambe le parti.

“Pertanto, nonostante le differenze cronologiche, testuali e culturali che rendono problematico trarre conclusioni sulle pratiche greche da uno studio del dramma sanscrito, lo studio comparativo interculturale delle tradizioni viventi del Kathakali e del Kūṭiyāṭṭaṁ, insieme all'evidenza testuale, può fornire una certa chiarezza su come gli aspetti musicali del dramma funzionassero nella pratica e informano ed espandono la nostra comprensione della ricezione del pubblico delle successive opere greche.”
(N. Sultan, “What Sanskrit Drama Might Teach Us about Music and Audience Reception of Later Greek Drama)

 

 

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